Il Canale Naviglio Zanelli

Testi e ricerca documentale ed iconografica di
Angelo Emiliani

Riproduzioni fotografiche di
Raffaele Tassinari

Nella primavera del 2012 Angelo Emiliani curò l'allestimento della mostra "Il Canale Naviglio Zanelli - Le vie dell'acqua", nell'ambito del progetto Opera, organizzato dalla Cgil di Ravenna, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, del Comune e della Provincia di Ravenna. La mostra fu ospitata a Faenza nel Salone delle bandiere di Palazzo Manfredi dal 18 al 27 aprile 2012. Il risultato fu notevole e richiese ad Angelo Emiliani un lavoro di ricerca non indifferente, reso difficile - sembra un paradosso - dalla mole di documentazione conservata soprattutto all'Archivio di Stato. Angelo Emiliani curò la ricerca documentale ed iconografica, la stesura del testo di presentazione e le didascalie delle immagini esposte. Raffaele Tassinari curò la riproduzione dei documenti dell'Archivio di Stato e la loro elaborazione grafica. La mostra riscontrò un buon successo. Oggi riteniamo doveroso riproporre in queste pagine i testi e le immagini esposte a suo tempo alla mostra, in quanto materiale di qualità e di deciso valore storico-culturale. Ringraziamo, per aver cortesemente autorizzato questa pubblicazione, il sig. Angelo Emiliani, la C.G.I.L. di Ravenna, l'Archivio di Stato di Ravenna sezione di Faenza, la Biblioteca Comunale di Faenza, la Pinacoteca Comunale di Faenza, l'Archivio Fototeca Manfrediana di Faenza e gli altri titolari dei diritti d'autore sulle immagini e sui testi pubblicati. gli autori del sito

Canal Naviglio
Il Canale Naviglio all'altezza del primo sostegno in un'illustrazione databile attorno al 1840. A sinistra il Mulino di San Rocco con la canaletta che forniva energia alle macine, in lontananza il campanile di Sant'Ippolito e Porta Pia.

(Biblioteca Manfrediana, Vedute faentine di Romolo e Tancredi Liverani, Album VI, n. 88. Tutti i diritti sono riservati. Autorizzazione alla pubblicazione del 28 novembre 2024.)

Sommario

Immagini in mostra:

Testo di presentazione

Il Canale Naviglio Zanelli

di Angelo Emiliani

L'idea di collegare Faenza e il suo territorio all'Adriatico, e quindi con Venezia e altre città rivierasche, risale a parecchi secoli fa.

Strade pressoché inesistenti o impraticabili per più mesi all'anno costituivano un ostacolo allo sviluppo degli scambi e degli affari, le vie d'acqua si stavano affermano quale soluzione più economica.

I documenti attestano che già nel 1410 il Podestà e il Consiglio degli Anziani tentarono di accordarsi con le autorità di Ravenna e di Bagnacavallo per costruire un porto a Faenza. Per quanto lungimirante, il progetto rimase nelle buone intenzioni.

La questione torna d'attualità alla fine del 1675 quando il Consiglio Generale faentino affida a tre concittadini – Giulio Torelli, Sebastiano Zanelli e Ottaviano Scaletti – l'incarico di predisporre lo studio per l'escavazione di un canale "che dal mare conducesse barche da carico fin sotto le mura della città".

A firmarlo sarà invece Pier Maria Cavina, ma ancora una volta ci si deve arrendere di fronte a enormi difficoltà d'ogni genere, non ultime la peste e la carestia.

Trascorrono altri settant'anni prima che i magistrati faentini, nell'autunno del 1753, chiedano al ferrarese Romoaldo Bertaglia di mettere a punto il progetto di un canale navigabile che congiunga Faenza al Po di Primaro (l'attuale Reno) e all'Adriatico.

Eseguito un sopralluogo nei territori interessati di Faenza, Cotignola e Bagnacavallo, il Bertaglia presenta il suo piano l'8 agosto 1754.

L'idea consiste nell'immettere nel nuovo tracciato l'acqua del Lamone che giunge a Faenza col Canale di Carentano (poi Canal Grande e in seguito dei Cappuccini), un'opera iniziata nel 1194 e proseguita nel 1223.

Il progetto e la relativa spesa, stimata in centomila scudi romani, vengono approvati dal Consiglio Generale l'11 ottobre 1755 con 22 "sì" e 15 "no".

Lo scarso entusiasmo che si riflette nell'esito di quella votazione si deve ai timori nel mettere mano a un'impresa gigantesca, alle poche risorse disponibili e, soprattutto, ad idee dominanti poco propense al varo di importanti opere pubbliche.

Vanno tuttavia messi nel conto ostacoli grandi come montagne: l'opposizione dei proprietari (in gran parte famiglie nobili, enti religiosi e di beneficenza) dei terreni interessati ai lavori, i tempi biblici nel prendere qualsiasi decisione, gli intrighi e, non ultima, l'insistenza di quanti vorrebbero il canale scavato sulla destra del Lamone così come previsto dal progetto Cavina.

Una soluzione, quest'ultima, vista con interesse da Ravenna, che soffre di un atavico isolamento, e da Forlì.

Il progetto Bertaglia trova invece un tenace sostenitore nel conte Scipione Zanelli, "uomo di larghe idee e di propositi arditi", ma accusato dai detrattori di pensare più ai propri interessi che a quelli della comunità.

Controversie e invidie finiscono per tradursi fatalmente in enormi ritardi: presentato a Papa Clemente XIII per l'approvazione sovrana nel 1763, tredici anni dopo il progetto non ha ancor fatto un solo passo avanti.

La svolta avviene nel 1775 quando, a conclusione di un Conclave protrattosi per ben 134 giorni, al 265º scrutinio viene eletto Papa il cesenate Giovanni Angelico Braschi.

Figura non di primo piano ed estranea alle dispute politiche, Pio VI – questo il nome assunto – si rivela uomo di grandi vedute. Suo, fra le altre realizzazioni, il prosciugamento delle paludi pontine. Il dettaglio non trascurabile sta nel fatto che è cugino per parte di madre dello stesso Scipione Zanelli.

Il conte capisce che nel nuovo Papa può trovare l'interlocutore giusto e nel marzo 1776 si reca a Roma per sottoporgli il progetto impegnandosi a realizzalo a sue spese.

La domanda è accolta, previo l'esame da parte di una commissione di cardinali (Caracciolo, Albani, Casali, Corsini e Zelada, ma nel tempo altri si occuperanno della questione).

Appena un mese dopo un chirografo pontificio accorda al Zanelli la "libera e assoluta proprietà" del canale, dei mulini, dei maceri per la canapa e il lino, di ogni altro edificio e dei terreni. In più, la facoltà di imporre un dazio sulle merci trasportate ed altri privilegi.

Dal canto suo, il Comune si fa garante per la somma di 90 mila scudi e concede al Zanelli le fosse sotto le mura da Porta Imolese alla vasca del Borgotto.

In seguito gli cederà gratuitamente tutto il materiale ricavato dall'abbattimento della Rocca di Granarolo (1779) e gli consentirà di aprire le mura in corrispondenza della darsena.

Nel 1778 si iniziano a costruire le fornaci che dovranno produrre i mattoni necessari alla realizzazione del canale e dei tanti manufatti previsti; il 4 dicembre dello stesso anno si dà avvio allo scavo, eseguito per mezzo di aratri e "pagandosi alle opere uno scudo per pertica".

In appena tre anni, potendo contare solo sulla forza delle braccia e delle bestie impiegate, i lavori vengono ultimati e l'acqua può scorrere da Faenza al Po di Primaro.

L'inaugurazione ufficiale è del 20 gennaio 1783, con il conte Zanelli che risale a bordo di una barca il tratto da Bagnacavallo a Faenza e una moltitudine di gente a far da corona al memorabile evento.

Pochi mesi dopo è lo stesso Papa Pio VI a benedire l'opera pressoché terminata. Di ritorno da Vienna, il 29 maggio sosta in città per un breve riposo nell'abitazione del cugino e può quindi recarsi sulle mura da dove, sotto un arco trionfale eretto in suo onore, osserva con interesse il canale e le costruzioni della darsena.

In quel luogo, a ricordo della visita e su espresso consenso del Papa, verrà aperta Porta Pia.

Nelle settimane seguenti il canale è già in servizio, anche se ci vorranno altri sei-sette anni per portare a termine la costruzione di mulini, maceri, ponti (15), magazzini e abitazioni per i barcaioli e i custodi dei sostegni.

Misura 7.424 pertiche e otto piedi faentini (circa 36 km), lungo gli argini sono stati messi a dimora più di 70 mila pioppi. La spesa totale verrà stimata nel 1815 dall'ing. Giuseppe Morri in quasi 118 mila scudi.

Le barche, trainate da buoi, trasportano soprattutto granaglie, vino, legumi, legname e prodotti delle nostre colline.

Il conte Zanelli vive il suo momento di gloria. Nel testamento dispone che ogni anno le entrate del Canale Naviglio e delle attività che sullo stesso sono sorte, detratte le spese, siano ripartite in misura uguale e che una delle due parti venga "erogata in sovvenimento ed a soccorso dei poveri di Faenza".

E' un ulteriore atto da grande benefattore, ma i problemi non tardano a manifestarsi.

Il canale non è stato costruito nel pieno rispetto delle clausole contenute nel chirografo pontificio e - affermano i più critici - da opera di pubblica utilità ha finito per trasformarsi in un monopolio del Zanelli.

Il transito avrebbe dovuto essere consentito a tutte le barche, salvo il pagamento di dazi e pedaggi, ma in realtà i ponti in muratura lo rendono di fatto impossibile. Le sole a poter percorrere il canale sono le chiatte fatte costruire dal conte Zanelli, prive di strutture soprelevate e cedute in nolo.

Inoltre, siccome l'acqua captata alla chiusa di Errano deve assicurare in via prioritaria la navigazione, vengono colpiti gli interessi degli orti (250 tornature a monte di Faenza) e degli opifici in città: mulini, tintorie, concerie e altro.

Il conte Zanelli, diventato di fatto arbitro dell'economia faentina, esercita tale potere attraverso una sua milizia armata e avvalendosi di relazioni e parentele.

Sono questi fattori - che finiscono per chiamare in causa anche il Comune - a far perdere ben presto di importanza al Naviglio e a non consentirgli di costituire quel fattore di sviluppo e di prosperità nel quale tanti avevano sperato.

Il braccio di ferro fra l'Amministrazione pubblica faentina e la Congregazione del canale si protrarrà per decenni.

Nel frattempo il corso d'acqua evidenzia quello che costituisce il suo tallone d'Achille: tende ad interrarsi e per continuare a svolgere il servizio per il quale è stato concepito richiede continui e costosi lavori di escavazione.

I colpi decisivi vengono inferti alla grande arteria all'indomani dell'Unità d'Italia con l'avvento della strada ferrata. Abbandonato come idrovia, continuerà a fornire energia ai mulini, poi anche questi passeranno all'elettricità.

immagini

Note

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