Il dialetto faentino - alla pari di tanti altri - è essenziale, veloce, efficace, rude.
È in fase di estinzione.
Per molti di noi la voce dei genitori, dei nonni, delle persone amate sopravvive nel ricordo associata a sonorità
uniche, particolari, espressive.
Nell'articolo di copertina de "la Ludla (la Favilla)", periodico dell'Istituto Friedrich Schürr, del marzo-aprile 2022,
viene giustamente espresso un deciso dissenso sul fatto che molte pagine web presentino il dialetto unicamente come strumento
di comicità, tramite "contenuti beceri e volgari, come se questi fossero i soli degni di essere veicolati in dialetto".
Il dialetto è una lingua, e come tale merita di essere rispettata e ricordata, senza enfasi, senza pretese, senza troppe complicazioni.
Parliamo qui di dialetto faentino più che altro per circoscrivere la ricerca,
inteso come il dialetto romagnolo comunemente parlato a Faenza e dintorni.
Può risultare utile rintracciare e riproporre il dialetto della nostra città, così come scritto,
negli ultimi due secoli, ipotizzando a volte il parlato.
Questo tenteremo di fare in queste pagine.
Perché? A cosa serve? A cosa serve studiare il latino classico o il greco antico quando più nessuno li parla?
Serve! Perché queste lingue ci aiutano oggi a comprendere meglio le nostre origini,
la nostra cultura e la nostra storia, senza lasciar spazio alla facile retorica della "romagnolità",
ben consapevoli di appartenere ad una sola grande famiglia, quella degli esseri umani.